Intervista alla Professoressa Silvia Ciucciovino

Professore Ordinario di Diritto del Lavoro presso il Dipartimento di Economia dell’Università degli studi di Roma Tre

1) Come valuta il programma di Alternanza Scuola-Lavoro (Asl) reso obbligatorio dalla Legge 107/15?

Valuto benissimo questo programma. Mi rendo conto che ci sono vari problemi applicativi e vedo che le scuole, in questa prima fase, si stanno attrezzando con una certa difficoltà operativa nel costruire una rete di relazioni con il mondo del lavoro. Penso, però, che sia questo l’obiettivo cui tendere per una modernizzazione della scuola italiana e quindi, a mio avviso, è un intervento normativo molto positivo perché sviluppa la cultura dell’Asl e del sistema duale che, probabilmente, è ciò che ci distingue, in senso negativo, da tanti altri Paesi europei.

2) Da docente universitaria, qual è o quale dovrebbe essere, secondo lei, il ruolo degli Atenei nei programmi di duale previsti da “La Buona Scuola”?

Gli Atenei possono e devono avere un ruolo nei programmi previsti da “La Buona Scuola”. Io ho sottolineato questo aspetto anche all’interno del mio Dipartimento e vedo che c’è un’attenzione da parte del Senato Accademico e del Rettore sulle diverse opportunità, per le Università, di interessare i giovani dei Licei e degli Istituti, anche per un orientamento e per un avvicinamento alla realtà universitaria. Gli studenti delle scuole superiori potrebbero così avere la possibilità di visitare, di conoscere, di vivere e di vedere ciò che significa lavorare nelle Università ed anche orientarsi meglio nella scelta dei percorsi universitari da seguire. Personalmente sto promuovendo questo tipo di operazione.

Nel nostro Ateneo, per esempio, abbiamo una radio, Roma Tre Radio, e ho pensato che gli studenti impegnati nelle attività di Asl potrebbero essere coinvolti con delle interviste ai docenti sulle tematiche che li interessano più da vicino, oppure si potrebbero realizzare dei programmi gestiti dagli studenti, in partnership con l’Università, su questioni di attualità a cui l’Università stessa può dare un contributo. Anche se, effettivamente, l’Asl riguarda le scuole superiori, penso che, comunque, gli Atenei possano avere un ruolo importante, proprio come soggetto dove non si studia soltanto, ma si lavora anche.

3) Ci sono modelli a cui l’ordinamento scolastico italiano dovrebbe ispirarsi, o è meglio scegliere una strada completamente “made in Italy”, che tenga conto delle specificità del mercato del lavoro italiano?

Tendenzialmente sono sempre contraria all’importazione dei modelli dall’esterno, perché le realtà sono tutte diverse e ognuna ha la propria specificità. Noi, quindi, dobbiamo creare un modello italiano di alternanza, guardando quello che è il nostro mercato del lavoro, ma anche il nostro sistema formativo che, anche rispetto ad altri, è molto importante, ben costruito e ben strutturato.

Senza rinunciare alle nostre specificità, si dovrebbe intervenire sull’esistente, cercando di legare la formazione scolastica con il mondo produttivo del nostro Paese, che è fatto di piccole e medie imprese, ma anche di grandi realtà imprenditoriali. È bene che l’Asl riesca a far vedere ai giovani tutte le realtà, non solo quelle delle grandi imprese, ma anche quelle delle piccole e delle professioni. Per fare questo, ovviamente, occorre che ci siano delle reti territoriali. Le associazioni rappresentative delle imprese e dei lavoratori dovrebbero mobilitarsi e promuovere l’Asl nelle imprese, anche in quelle più piccole, portando questa cultura in tutte le realtà imprenditoriali e lavorative italiane.

4) Quali sono, secondo lei, gli strumenti più utili per migliorare l’occupabilità giovanile e far fronte al fenomeno della disoccupazione e dei neet?

Ovviamente gli interventi efficaci sono quelli che riguardano le politiche industriali, di sviluppo e di investimento, che creano le condizioni per una reale crescita dell’occupazione. Sicuramente, poi, avere dei servizi pubblici e privati pronti e competenti su questo versante, per trovare il posto giusto al ragazzo giusto, per orientare, per accompagnare i giovani all’inserimento nel mondo del lavoro, è qualcosa di molto importante e su questo dobbiamo lavorare.

Le norme attualmente stanno introducendo delle innovazioni con una regia nazionale di tali interventi. Bisogna, però, che ci sia un ricambio anche generazionale nei soggetti, soprattutto pubblici, che si occupano di questi aspetti Infine, per migliorare l’occupabilità dei giovani, è senz’altro di fondamentale importanza l’alternanza, l’accostamento e l’integrazione, già nella fase formativa scolastica, con il mondo del lavoro.

5) Da diversi studi emerge che i programmi di duale e di apprendistato faticano a decollare nel mercato del lavoro italiano. Quali sono, secondo lei, le ragioni?

Indubbiamente in Italia c’è un’abitudine culturale a concepire la formazione come qualcosa di staccato e separato dal lavoro e quindi abbiamo l’esigenza di rinnovare questo tipo di cultura. Modificare la cultura, però, non è un’operazione semplice, richiede tempo, spunti e stimoli. Mi sembra che nelle ultime norme ci siano questi spunti e questi stimoli, volti ad innovare. Poi, però, ci vogliono anche strumenti normativi e operativi adeguati a sostenerli.

Se l’impresa e l’istituzione formativa si trovano a scontrarsi con dei sistemi complicati da gestire, anche amministrativamente, questo non fa bene, ovviamente, al decollo delle esperienze. Quindi è molto auspicabile una maggiore attenzione alla facilità nell’uso dei nuovi strumenti di alternanza, di apprendistato e, in genere, di tutto ciò che riguarda il sistema duale.

6) Sono stati tanti i Dirigenti Scolastici che hanno lamentato non poche difficoltà nel trovare strutture disposte ad ospitare studenti nei percorsi di alternanza, soprattutto nelle zone più periferiche del Paese. Secondo lei su quali leve si deve agire per garantire una maggiore partecipazione delle aziende?

Bisogna convincere il tessuto produttivo italiano a collaborare con un intervento che è relativamente nuovo e per cui non c’è un’abitudine di pensiero, non c’è attenzione, non c’è cultura. È un’operazione difficile e, a mio avviso, non si può pensare di farlo con la singola impresa. Ci vuole uno sforzo di coordinamento con le strutture rappresentative delle imprese. Sono indispensabili, quindi, dei tavoli di confronto e di interlocuzione tra l’istituzione formativa e le associazioni imprenditoriali, datoriali, sindacali, cioè con tutti i soggetti rappresentativi degli interessi. Questi, poi, si possono fare a loro volta portatori e facilitatori nelle aziende e nelle realtà che rappresentano, perché, altrimenti, il singolo istituto scolastico si troverebbe a dover andare a presentarsi o a parlare con un numero indefinito di imprese, cosa che sarebbe molto faticosa e, ovviamente, non si può chiedere questo ai dirigenti scolastici o al corpo docente. Non vedo quindi altra strada che stabilire dei tavoli, dei punti centralizzati, che facilitino questo tipo di operazione e la gestiscano anche in modo non episodico, bensì strutturato e coordinato per indirizzarla ai migliori risultati possibili.

Indubbiamente il legislatore può, dal canto suo, incentivare in qualche modo l’impresa che collabora e che quindi assume questo tipo di onere. I sistemi posso essere vari, dagli incentivi economici a quelli di altra natura. Sicuramente una politica di sostegno in questa direzione, anche da parte delle norme, non sarebbe sgradita ma potrebbe anzi facilitare i programmi di alternanza.

Roma, gennaio 2017

A cura di: prof.ssa Giuditta Alessandrini, dott. Claudio Pignalberi, dott.ssa Maria Caterina De Blasis

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